Quello che conta

Racconto#17

Author:Sante Paolacci

Category:Storie

Share: / /

 

I panini all’olio erano ormai induriti dal sole. Il tavolo era pieno di briciole, tovaglioli gialli accartocciati e piatti sporchi. La torta non era ancora arrivata e la festeggiata era nascosta in qualche angolo di casa. I nostri genitori erano tutti sotto il portico che sbuffavano per il primo caldo di stagione mentre noi giocavamo a nascondino.

Io, sono quello lì, quello che conta.

“Fino a 100” mi dicono. Faccio sì con la testa anche se so già che non butterò il mio tempo in questo modo. Non ho mai contato fino a cento.

“Sì, ma questa è l’ultima volta, poi tocca a qualcun altro”.  Non so a chi l’ho detto e non so chi mi abbia sentito, ché già sono tutti con le spalle voltate verso le loro tane segrete.

Lisa rimane a guardarmi per un attimo. Io la guardo. “Vai a nasconderti amore mio ed io verrò a cercarti. Ti troverò e finalmente potremo stare io e te da soli per l’eternità della festa”. Fermo immagine. Musica finale, Baglioni. Finirebbe così il film nella mia testa.

“Dai, conta e non sbirciare” grida Stefano da non so quale parte del giardino.

Uno, due, tre… Inizio, ma non arrivo nemmeno a dodici che mi sono già perso. Immagino il suo alito leggero soffiare vicino alla mia guancia. Stavolta le do un bacio, penso. E se poi mi dà uno schiaffo? Inspiro il suo profumo. Deve essere quello di sua madre. Si è messa il profumo di sua madre. Ma che c’entra sua madre adesso. Cazzo!

“Come?” Dice Lisa.

“Eh?”

“Hai detto una parolaccia”

“Io? No, …”

“Shhh, zitto che ci trovano”.

Quattro, cinque, sei e sette. Poi quando verrò a prenderti con il motorino sotto casa, io avrò un casco a posta per te con dentro il profumo dei tuoi capelli. Lo sento, distinguo persino l’odore di balsamo.

“Che fai? Mi annusi i capelli?”

“No, è che respiro lentamente. In questo sottoscala polveroso poi…”

“Allora usciamo”.

“No, che sei matta!”

Otto, nove, dieci, undici.

“Rimaniamo ancora un po’”.

Con la testa fra le braccia incrociate, me ne stavo lì a fantasticare per troppi minuti e da lontano sentivo le voci nascoste dei miei compagni urlare che dovevo smetterla. “È mezz’ora che ci siamo nascosti” gridavano dai nascondigli.

Non riuscivo mai a trovarli tutti e fino a sera la storia si ripeteva senza tregua.

 

La incontro nei corridoi degli uffici catastali. È bella come sempre. È sorridente come sempre. Non mi considera come sempre. Oggi è il suo compleanno come trentuno anni fa. Non c’è quasi nessuno in giro in questo edificio pubblico fatiscente. La vedo entrare nell’ascensore. Accelero il passo prima che la porta si richiuda. Ancora più veloce. Corro e sono dentro. C’è solo Lisa.

“Ciao” mi dice con un faldone in mano.

“Ciao” le rispondo con il fiatone in gola.

Con uno scatto lento l’ascensore sale verso l’alto. Ci sono sei piani e il viaggio purtroppo non sarà lungo.

Improvvisamente “Slock”. La cabina si ferma. La luce si spegne. Il cuore pure.

Se lei non mi ama, Dio almeno mi vuole bene, penso.

Non sento respirare Lisa.

“Cazzo!” dice d’un tratto. “Soffro di claustrofobia” continua.

Io respiro profondamente e lo consiglio anche a lei. Per due motivi diversi, ma ne abbiamo entrambi bisogno.

“Suona il campanello” mi dice con un filo di voce.

“E se poi ci trovano?” rispondo troppo istintivamente

“Ma sei scemo?” mi riprende.

Suono l’allarme.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei… Lisa inizia a contare lentamente.

“Mi rilassa” dice. “Contare regolarizza il respiro e mi rilassa. A volte arrivo fino a cinquecento”.

“Ma pensa”.

“Cosa?”

“No, niente era per dire”.

Sento le voci di quegli stronzi che verranno a stanarci. Fra poco tutto questo sarà finito. Sento gli ingranaggi che stanno per riattivarsi.

“Ventisette, ventotto, ventinove, trenta” continua a conteggiare Lisa.

Le sfioro la mano. 

Non mi ero accorto di quanto fosse vicina. Adesso il profumo di balsamo lo sento davvero.

“Mi piaci da trentuno anni”.

“Trentuno” dice Lisa.

“Sì, trentuno”. Confermo io.

La luce si accende e l’ascensore riparte.

Ha gli occhi chiusi.

Rimane così. Rimango così. Vedo un sorriso.

“C’ho messo un po’ per dirtelo”.

La porta si apre. Lisa si volta. Se ne va.

 

La guardo allontanarsi danzando sui tacchi lungo il corridoio. È felice. Io sono stordito mentre penso a chissà cosa potrebbe accadere se tutto questo, un giorno, fosse vero.

 

 

 

 

 

 

 

(Foto di Riccardo De Martini “Nascondino” fonte Flickr)

 

 

Leave a comment