Mio nonno e lo scalino

racconto#1

Author:Sante Paolacci

Category:Storie

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Un giorno ho chiesto a mio nonno perché le storie d’amore finiscono, lui mi ha raccontato questa storia.
Quando avevo circa 10 anni e la guerra era finita da appena due, io e Spino ci trovavamo sempre in un posto segreto che avevo scoperto vicino casa. Non ne avevo parlato mai a nessuno della sua esistenza. Non vedevo l’ora di tornare da scuola, mangiare di corsa per andare lì, allo scalino, il posto per me più bello del mondo. Era un luogo silenzioso. Potevi sentire solo il respiro di Spino che si metteva accucciato seduto vicino a me dopo aver annusato e perlustrato tutta la zona. Spino non era il mio cane, ma ormai era come se lo fosse. Era randagio, ma con me aveva un rapporto particolare. Non ero il suo padrone visto che non gli davo da mangiare. Sai, al tempo ce n’era poco anche per me. Ero il suo migliore amico, ecco, e lui lo era per me.
Per andare allo scalino bisognava entrare un po’ nel bosco, percorrere un sentiero con i rovi a destra e sinistra e poi all’improvviso, dietro ad un cespuglio, trovavi un piccolo piazzale di erbetta illuminata dal sole. Tra i due grandi alberi che sembravano controllare la zona c’era un ripiano e subito sotto al ripiano c’era uno scalino di metallo.
Lo scalino era lucente e quando arrivavo nel primo pomeriggio lo trovavo sempre caldo perché era stato esposto per tutta la mattinata al sole. Quel tepore sotto il sedere mi metteva gioia e serenità. Era come settimane e settimane di carezze, quelle che i miei genitori non mi davano.
Lo scalino. Lui mi dava calore e io cercavo di tenerlo sempre pulito e lucido. Era un modo per ricambiare quella specie di affetto.
In quel posto a primavera c’erano anche i fiori, pochi, ma bellissimi e mentre Spino russava a fianco a me, io pensavo alla vita, al mondo e a quello che avrei fatto da grande, sempre con lo scalino che mi riscaldava con il suo calore.
Questi erano i nostri pomeriggi. Il mio, quello di Spino e quello dello scalino.
Un giorno, dopo pranzo, scesi come tutti i giorni per andare nel mio posto preferito ma mi accorsi subito che non c’era Spino ad aspettarmi. Guardai intorno. Lo chiamai per qualche minuto e poi mi diressi verso lo scalino per vedere se magari lo avessi trovato lì come altre volte era successo.

Stavo quasi per arrivare quando un boato mi fece cadere a terra tanto mi stordì. Vidi una nuvola di terra provenire dal piazzale d’erba. Corsi verso quella direzione, ma tutta la zona era completamente distrutta. I due alberi erano piegati come a piangere uno sulla spalla dell’altro. Dei fiori nemmeno una traccia, e nemmeno di Spino.
Lo scalino era la parte scoperta di una bomba dimenticata lì dalla guerra. E Spino era andato a scavare proprio in quel punto, senza sapere di andare a morire.
Perché quello scalino che mi aveva dato tanto calore e affetto ora mi aveva ucciso il mio migliore amico? Perché ora mi provocava questo dolore? Perché?
Era una bomba. Era stata creata per distruggere. Solo per questo vengono costruite le bombe. Non si usano mica come sopramobile e tanto meno come scalino. Quelle distruggono e basta.
Allora interruppi mio nonno.
“Quindi l’amore è…” No, disse prontamente mio nonno. L’amore non è una bomba, ma ci sono delle storie che devono esplodere, incuranti di chi hanno intorno. Lo devono fare perché qualcuno le ha costruite così. Certo, se ci fosse stato un artificiere tutto ciò non sarebbe successo e la bomba sarebbe rimasta un semplice caldo scalino.
Bastava solo parlare del mio scalino a qualcuno di adulto e così io non sarei rimasto solo senza Spino e senza scalino.

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